LA VITA TRAGICA DELL’IMPERATRICE CARLOTTA
di Armand Praviel
La vita tragica dell’Imperatrice Carlotta
Capitolo I – Il trionfo di Città del Messico.
I popoli non sono fatti per i sovrani, ma i sovrani per i popoli.
MASSIMILIANO I, Imperatore del Messico.
Viva l’Imperatore! Viva!
Le urla si alzarono come un uragano il 12 giugno 1864 nei quartieri di Santiago, Tlatelolco e Santa-Anna, a Città del Messico. La giornata era radiosa e nonostante la temperatura estremamente variabile della stagione delle piogge, una folla enorme si accalcava lungo i marciapiedi delle strade rettilinee che dividevano l’ampio quadrilatero della capitale. Tutte le case a due piani, dipinte di vivaci colori con il giallo dominante, mostravano volti sorridenti ed entusiasti alle finestre incorniciate di bianco, sopra le gallerie merlate o festonate delle azoteas.
La folla era composta da persone di tutti i ranghi: uomini bianchi vestiti all’ultima moda di Parigi o Madrid, ricchi rancheros con mantelli e botas vaqueras, donne con scarpe di raso e vestidos di seta acconciati con il tapalo ricamato, preti con tromblon lungo e colletti blu o bianco, monaci in sandali, leperos con cappa di cotone bianco e indiani con guance prominenti e cranio rasato ornato da due lunghe ciocche che fluttuavano.
Il corteo attraversò la città sollevando simili entusiasmi, il fracasso aumentava e si univa al rimbombo assordante di sessantotto chiese, al tumulto dei cannoni e all’esplosione secca dei fuochi d’artificio. Fiori e bouquet piovevano e l’acclamazione della folla era immensa.
“Viva l’Imperatore!” Un reggimento di lancieri messicani, comandati dal colonnello don Miguel Lopez, marciava in testa, seguito da due squadroni di ussari e cacciatori francesi con i loro alti shako, berretti ampi e giacche con risvolti. La carrozza che chiudeva il corteo era oggetto del trionfo e al suo interno vi erano due generali: il barone Neigre e il generale Bazaine.
In questa carrozza, oggetto dell’attenzione degli indiani che volevano vedere l’uomo della profezia azteca, sedeva l’arciduca d’Austria Ferdinando-Giuseppe-Massimiliano, un Asburgo di trent’anni, con pelle bianca, basette rosse e un’immagine da sogno e malinconico. Al suo fianco c’era la principessa Carlotta, sua moglie, alta e altera, con un viso regolare pieno di energia e intelligenza, che attestava la forza persistente del sangue dei Borboni.
La principessa Carlotta sembrava vivere e gustare questo trionfo con la più grande intensità. Tutto irradiava dalla sua posa e dal suo volto: il suo profilo sprezzante, con la somiglianza a suo nonno Luigi Filippo, il suo mento volitivo e i suoi occhi come illuminati da una fiamma interiore. Molto diritta sul suo sedile, dominando questa folla di meticci, indiani, creoli e spagnoli, sembrava portare un mistico rimedio ai loro mali e alle loro odiose discordie, una sorta di sacramento imperiale, del quale aveva ricevuto il deposito misterioso e divino.
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Maria-Carlotta-Amelia-Vittoria-Clementina-Leopoldina di Belgio aveva appena compiuto ventiquattro anni, essendo nata il 7 giugno 1840, all’una di notte, dal matrimonio benedetto del vecchio Leopoldo I della casa di Sassonia-Coburgo-Gotha e della angelica Luisa, figlia maggiore del re dei francesi.
Non era alla sua prima esperienza sul trono. La morte prematura di sua madre l’aveva esposta fin da giovane all’importante insegnamento politico di suo padre, alle lezioni altamente mistiche della contessa d’Hulst e del padre Dechamps, redentorista e futuro arcivescovo di Malines. Non c’era spazio per sorrisi in questa educazione. La piccola principessa, che all’età di due anni e mezzo già parlava come una persona adulta, con sorprendenti giri di frase, frequenterà poco gli autori profani; ma studierà i teologi più severi, come san Alfonso Maria de’ Liguori; nelle sue narrazioni infantili scriverà: “Dio chiederà un enorme conto ai principi ai quali ha affidato una parte della sua grandezza e della sua potenza e ha imposto anche il dovere di vegliare sulla salvezza dei popoli di cui hanno il governo.”
Questa principessa della casa d’Orléans, che in seguito si crederà animata da un audace liberalismo, non ha mai rinunciato all’antico diritto divino istintivamente. È fatta per regnare. Qui la vediamo alla corte di Bruxelles, a supplire l’assenza della madre.
Appena raggiunta la sua sedicesima primavera, il re del Portogallo, dom Pedro V, chiede la sua mano in matrimonio. Ma cosa significa il re del Portogallo per lei? Non l’hanno educata all’umiltà né alla benevolenza. “I Portoghesi non sono che degli oranghi”, le diceva la signora d’Hulst. “Non troveresti nemmeno un prete capace di capirti.” Perché è già una teologa, molto ferrata su principi che crede inattaccabili, come solitamente lo sono le giovani di élite, così rapide nel dogmatismo, così saldamente attaccate alle idee dei loro educatori. Il suo liberalismo, che lei considera molto moderno, è ancora più intransigente. Che ci farebbe tra i Portoghesi?
Il principe Giorgio di Sassonia fu scartato, ma l’arciduca Massimiliano, che si trovava in visita in Belgio, ebbe più fortuna. Cosa non si diceva di lui? Alcuni sostenevano che fosse figlio adulterino del duca di Reichstadt e quindi nipote di Napoleone! Ma anche lasciando da parte ogni leggenda, non era egli il fratello minore di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria? Il primo in linea di successione, uno dei personaggi più importanti d’Europa e del mondo. Quali non sarebbero state le sue destinazioni? Già contrammiraglio e comandante in capo della flotta austro-ungarica, si mormorava che, a venticinque anni, non avrebbe tardato ad andare a governare il regno Lombardo-Veneto. Accanto a lui, tutte le ambizioni erano permesse, anche le più sante, perché questo grande ragazzo biondo, nonostante la sua bocca sensuale e la sua morbidezza viennese, si affermava molto pio, costruttore di cattedrali, appassionato di pellegrinaggi, baciante reliquie. Come Carlotta non poteva essere sedotta? (continua)