DOVEVO ESSERE IMPERATRICE
Principessa Stefania del Belgio Contessa di Lonyay
Dovevo essere imperatrice
Memorie dell’ultima ereditiera d’Austria-Ungheria
Dovevo essere Imperatrice
I. – Infanzia rigida.
Sono nata in Belgio, non lontano dalla capitale, nel castello di Laeken, residenza dei sovrani – figlia di Sua Maestà Leopoldo II, re dei Belgi, duca di Sassonia, principe di Sassonia, Coburgo e Gotha, e di Sua Maestà Maria Enrichetta, regina dei Belgi, arciduchessa d’Austria, principessa d’Ungheria – nel periodo in cui la primavera diffonde generosamente i suoi doni e gli uccelli riempiono la natura con il loro canto. Era il 21 maggio 1864.
Già prima di me, erano nati una figlia e un figlio dai miei genitori: Luisa, il 18 febbraio 1858; e Leopoldo, il 12 giugno 1859.
Il primo evento che si è impresso profondamente nella mia memoria fu la morte di questo amato fratello, che Dio volle richiamare a sé prima ancora che avesse raggiunto l’età di dieci anni. Benché avessi solo quattro anni e mezzo, ricordo ancora perfettamente questo bambino deliziosamente bello e tenero, la sua rassegnazione durante la sua breve malattia, e il dolore struggente di mia madre quando spirò tra le sue braccia. Una polmonite, che il Principe aveva contratto cadendo in acqua mentre giocava con una piccola barca a vela, tolse la felicità alla nostra famiglia e la speranza alla nostra dinastia. La Provvidenza imponeva così a noi e a tutto il paese un crudele sacrificio. Per molto tempo, nessun sorriso fiorì più sulle labbra di mia madre, il suo incarnato roseo perse la sua freschezza giovanile e nel suo sguardo si poteva leggere una ferita al cuore che non si è mai completamente rimarginata.
Da quel momento, i miei ricordi vedono oscurarsi la vita coniugale dei miei genitori. Colpita nel profondo del cuore dalla morte di suo figlio, mia madre era molto cambiata; quel bambino era stato lo scopo della sua vita, lo aveva riconciliata con il destino che le era toccato. Ahimè, quel conforto era andato perduto… Aveva sognato una vita completamente diversa quando, giovane e bella, all’età di diciassette anni, senza sapere esattamente perché e come, concesse la sua mano al duca del Brabante, figlio primogenito di Leopoldo I, re dei Belgi e della regina Luisa Maria, principessa d’Orléans.
Cresciuta a Budapest, all’interno di una famiglia molto unita, adorata dai suoi numerosi fratelli e sorelle, vivendo senza costrizioni, mia madre aveva un umore allegro e un fascino che la sua affabilità rendeva ancor più attraente. Figlia dell’arciduca Giuseppe, gran conte palatino d’Ungheria – il cui nome è ancora venerato oggi nel paese – e di una principessa del Württemberg, mia madre aveva ricevuto dai suoi genitori un’educazione illuminata e scelta che sviluppò le sue capacità intellettuali. Dotata anche di un senso artistico molto sicuro, dedicava parte del suo tempo libero alla pittura, all’arpa, al pianoforte e al canto con rara felicità. Grande amica della natura, cercava i piaceri campestri e si interessava soprattutto ai cavalli e ai cani. Coloro che l’hanno vista alla scuola di equitazione, dove cavalcava personalmente i suoi cavalli inglesi, ricordano la sua figura snella ed elastica. Più tardi, divenuta regina, cavalcando intere giornate al fianco del Re, attraverso prati, campi, terre e boschi, superando coraggiosamente ogni ostacolo, seppe dimostrare la sua calma e il suo coraggio.
Maria Enrichetta, coccolata dai suoi genitori e da tutti coloro che l’avevano vista crescere, dovette lasciare la sua patria, la sua famiglia e la sua casa per seguire un uomo che non aveva mai visto… Molte volte, più tardi, mi ha raccontato quanto questa separazione e questo viaggio all’estero le fossero stati difficili. Divenne belga e si dedicò alla sua nuova patria. Ma, nel profondo del suo cuore, rimase ungherese. Non poteva dimenticare il suo paese natale, dove nessuna lacrima aveva mai offuscato i suoi begli occhi, né fatto impallidire le sue guance, e i suoi ricordi più teneri evocavano in lei la vecchia casa paterna.
Leopoldo I, re dei Belgi, grazie a una grande popolarità, alle sue relazioni familiari e alla sua qualità di primogenito di una delle più antiche famiglie principesche tedesche, era riuscito a conquistare un prestigio universale. Aveva sposato prima l’erede presunta al trono d’Inghilterra, la principessa Carlotta e, successivamente, dopo la morte prematura della sua prima moglie, la figlia di Luigi Filippo. Sua sorella era la madre della regina Vittoria d’Inghilterra. Altri fratelli e sorelle, nipoti e pronipoti si erano sposati con membri delle famiglie reali russe, francesi e portoghesi. Per stabilire un legame con la casa imperiale d’Austria, il re Leopoldo I aveva concepito il desiderio di far sposare suo figlio, allora diciottenne, con un’arciduchessa. L’arciduca Giovanni intratteneva rapporti di amicizia con Leopoldo I e si assunse l’incarico della missione confidenziale che consisteva nell’informarsi se la corte di Vienna avrebbe visto con favore un progetto di alleanza del principe ereditario del Belgio con l’arciduchessa Maria Enrichetta. Si era vagamente pensato di farne la moglie dell’imperatore Francesco Giuseppe, ma l’imperatrice madre si era opposta a questo progetto. Il matrimonio con il principe del Belgio trovò a Vienna un’accoglienza molto favorevole e l’arciduca Giovanni fu pregato di informarne Leopoldo I. Fu solo allora che si comunicò la notizia alla giovane arciduchessa, la quale obiettò che non desiderava legarsi a un uomo che non conosceva. Ma non fu concesso alcun rinvio. Si lasciò sedurre da promesse allettanti e dai vantaggi che poteva sperare dalla sua qualità di moglie del futuro re. Infine, acconsentì. La celebrazione del matrimonio ebbe luogo «per procura» e l’arciduca Carlo Luigi, fratello dell’Imperatore, condusse la sposa in Belgio. Nel corso di questo viaggio intrapreso per raggiungere il suo futuro sposo, si fermò per trentasei ore a Schaumburg, presso suo fratello, l’arciduca Stefano, proscritto dalla Monarchia. Trovò presso di lui incoraggiamenti e consolazioni…
Certo, nutriva un profondo rispetto per il suo suocero, Leopoldo I, ma temeva comunque il suo matrimonio con il duca di Brabante. Mio padre, d’altra parte, subiva l’influenza paterna, convinto dell’enorme interesse politico che questa unione rappresentava per il Belgio. Ma al momento del suo matrimonio non era ancora maggiorenne – aveva appena compiuto il suo diciannovesimo anno – ed era troppo giovane per poter misurare la portata di un atto così grave… In ogni caso, non poteva essere ritenuto responsabile; il Re aveva deciso questo matrimonio e suo figlio doveva sottomettersi alla sua volontà.
Il duca di Brabante, mio padre, era dotato di un’intelligenza e di una perspicacia notevoli; la sua attitudine per le imprese e gli affari politici era fuori dal comune. Di cultura superiore, era attivo, eloquente, spiritoso e aveva inoltre una memoria prodigiosa. Quando, nel 1865, dopo la morte di suo padre, assunse il titolo di re dei Belgi sotto il nome di Leopoldo II, non volle assumere il suo ruolo solo formalmente, ma si dedicò al suo paese. Così non gli rimase molto tempo per occuparsi di sua moglie e dei suoi figli. La vita familiare, inoltre, non lo attirava. Si disinteressò delle gioie che essa porta e dei doveri che crea. È triste e scoraggiante pensare che questi due esseri, così generosamente favoriti dalla natura – mio padre e mia madre – lei, animata da sentimenti e qualità elevate, lui, dotato di un’intelligenza penetrante e di doni eccezionali, non abbiano potuto vivere in maggiore armonia e crearsi un «focolare». Ma, sfortunatamente, non si sono compresi. I loro cammini si sono incrociati per un solo istante, per poi allontanarsi subito e per sempre. Lui scelse la via dell’indifferenza e dell’infedeltà, mentre lei dovette accettare quella della rassegnazione, della solitudine e del dolore… (continua)
Un commento
John E. Snyder
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